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Ghiblificazione e Intelligenza Artificiale: il caso Studio Ghibli tra creatività e copyright

ghiblificazione

Negli ultimi tempi, è capitato spesso di imbatterci in immagini che sembravano uscite direttamente da un film dello Studio Ghibli: cieli ampi e silenziosi, prati mossi dal vento, bambini dagli occhi pieni di meraviglia. Solo dopo uno sguardo più attento si è scoperto che quelle immagini non erano frutto di un artista in carne e ossa, ma generate da un’intelligenza artificiale. È questo che oggi si chiama ghiblificazione: un termine curioso che descrive la capacità dell’IA di ricreare atmosfere, colori e tratti tipici dell’animazione giapponese più poetica e riconoscibile.

Accanto a questa tendenza, c’è anche l’ascesa delle action figure digitali: modelli 3D realistici, spesso ispirati a personaggi noti o del tutto nuovi, che sembrano pronti a essere inscatolati e collezionati. Anche in questo caso, è l’IA a fare il grosso del lavoro, imparando forme, pose, dettagli dai contenuti esistenti. È affascinante, senza dubbio. Ma qui nasce una domanda inevitabile: fino a che punto possiamo spingerci, senza calpestare il confine tra ispirazione e imitazione?

Uno stile ricreato

Il caso delle immagini in stile Ghibli è emblematico. Alcuni generatori IA sono stati accusati di utilizzare – senza autorizzazione – immagini originali per “allenarsi”, replicando poi uno stile che è diventato nel tempo quasi un marchio di fabbrica. Lo Studio Ghibli, come c’era da aspettarsi, non ha accolto con entusiasmo questa pratica. Hayao Miyazaki ha sempre difeso un’idea di arte come espressione dell’anima, come qualcosa che non può essere separato dall’esperienza umana. Vedere il proprio stile ricreato da un algoritmo rischia, secondo molti, di svuotarlo di senso, trasformandolo in un contenuto qualsiasi, replicabile all’infinito.

Anche dal punto di vista normativo la questione ghiblificazione è apertissima. In Europa, l’AI Act ha iniziato a porre delle basi, chiedendo maggiore trasparenza sui dati utilizzati per addestrare le IA. Se un generatore visuale si ispira a opere protette da copyright, chi ne è responsabile? E chi detiene i diritti dell’immagine finale? Negli Stati Uniti, si discute perfino se lo “stile” di un autore possa essere protetto legalmente, al pari di un logo o di un personaggio registrato.

Una questione etica ma soprattutto giuridica

Personalmente, credo che ci troviamo davanti a una sfida enorme ed etica: non solo giuridica, ma anche culturale. Le tecnologie generative aprono scenari inediti, ma ci impongono di ridefinire il significato stesso di creatività. Se l’IA può imitare alla perfezione, che valore resta all’unicità umana? La ghiblificazione e le action figure digitali ci raccontano un pezzo del futuro che ci attende. Ma ci chiedono anche, con urgenza, di prenderci cura dell’immaginazione, di ciò che ci rende umani, e di stabilire regole che proteggano non solo i diritti, ma anche le idee.

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