Michele Mezza, giornalista, per 40 anni in Rai, inviato all’estero (URSS e CINA) e ha ideato e curato il progetto di Rainews24. Docente universitario, collabora con numerose testate e centri di ricerca sui temi dell’automatizzazione della produzione e delle attività professionali. Negli ultimi anni ha pubblicato “Algoritmi di Libertà”, “Il Contagio dell’algoritmo” e ultimamente, in collaborazione con Andrea Crisanti, “Caccia al virus”, “Net-war”, tutti editi da Donzelli.
1. Come la Cina è passata da “fabbrica del mondo” a paese leader nel digitale?
Il tema interessante, intanto, oggi è lo Stato Intelligente. Un argomento sul quale, da un po’ di tempo, sto lavorando: cosa succede nella relazione sociale, politica, istituzionale di un apparato pubblico che non è più il fanalino di coda ma si cimenta nella costruzione di un sistema di elaborazione potente dei dati. E la Cina, oggi, in relazione alle sue dimensioni e alla sua caratura ideologica, è un esempio concreto di questo innovativo processo. Ad ogni modo, tornando alla domanda, diciamo che il primato cinese nella tecnologia è un’evoluzione del primato industriale, e la chiave per comprendere questo passaggio rimane nella seconda grande riforma di Deng Xiaoping. Ma la vera svolta avviene con Xi Jinping, l’attuale leader cinese che, da subito, pretende, tra le 13 cariche apicali che gli vengono assegnate – capo dell’esercito, capo della pubblica amministrazione, capo della commissione centrale militare, insomma capo di tutto – anche la qualifica di capo del sistema tecnologico digitale. Sembrava un’onorificenza che si aggiungeva alle altre cariche, in realtà è proprio questa che diventa la chiave di lettura di quel processo di statizzazione del calcolo: si crea una categoria che è l’Algoritmo Nazione, ovvero un Paese che vive e si costruisce attorno alla sua potenza di controllo del sistema di calcolo. Ed è questo uno dei tratti caratteristici dell’amministrazione cinese: rendersi un paese pienamente autonomo dal primato occidentale in questo campo, dopo esserne stato per decenni ancella, come “fabbrica del mondo”.
2. Come l’IA diventa strategica nel percorso di crescita economica e politica della Cina?
In Cina, l’Intelligenza Artificiale è logistica militare. Punto. E la Cina utilizza la tecnologia per espandere la sua influenza globale; c’è poco da dibattere qui, soprattutto con chi tira in ballo le questioni etiche. La Cina è un regime totalitario, e l’IA è parte del suo arsenale. Una delle più grandi abilità cinesi, nella potenza di calcolo, è quella del controllo poliziesco dello Stato, soprattutto per quanto riguarda il riconoscimento facciale e il tracciamento della mobilità di ogni singolo cittadino. Si tratta di un gigantesco database che accumula dati ogni secondo; è grazie a questa quantità di dati assolutamente incommensurabile per qualsiasi altro paese, che la Cina si trova ad avere una straordinaria palestra di addestramento dei fenomeni di intelligenza artificiale con una quantità di dati di flusso non rintracciabili all’estero. Per cui abbiamo questo tipo di quadro al momento: un primato che è costruito da una parte sulla capacità di riprodurre il know-how occidentale; dall’altra sul fatto che è ben piantato sull’uso di questo know-how, ai fini interni, per controllare una popolazione di 1 miliardo e 400 milioni di persone, che è di per sé la più grande fabbrica di produzione di dati che permette alla Cina di disporre della più straordinaria riserva di dati per alfabetizzare l’intelligenza artificiale.
3. L’IA, dunque, come strumento di potere economico e politico nel contesto internazionale?
Qui torniamo al ragionamento di prima, nel contesto politico cinese l’IA diventa un asset della via della seta digitale, ovvero quella galassia di relazioni internazionali in cui la Cina presta capitali ma soprattutto è il Paese che oggi trasferisce capacità e tecnologie.
4. Qual è la sfida principale, in ambito tecnologico oggi, per la Cina e per gli altri Paesi?
La sfida principale è trovare un equilibrio tra l’efficienza dei sistemi di intelligenza artificiale e la trasparenza. E qui bisogna interrogarsi su quale sia la vera matrice sociale di queste forme di relazioni digitali. Per cui la Cina si troverà, come tutti gli altri Stati, ovviamente quelli più totalitari in maniera più traumatica, a dover fare i conti tra l’efficienza dei propri sistemi di intelligenza artificiale e la trasparenza.
5. È forse sulla gestione dei sistemi di IA che potrebbe vacillare la leadership cinese in futuro?
I sistemi di intelligenza artificiale diventano economicamente sostenibili se sono il frutto della collaborazione di milioni e milioni di ricercatori, e non di pochi eletti o di poche élite scientifiche. Per cui, su questo argomento, la Cina ha un nodo da sciogliere e non so come lo potrà sciogliere. Ma questo riguarda anche le grandi cassaforti e piattaforme della Silicon Valley. Cioè ormai questi processi di addestramento, di pre trained – come si dice dei sistemi di intelligenza artificiali – hanno dei costi che sono esorbitanti e insostenibili persino da questi imperi dalle infinite ricchezze, per cui l’open source sta diventando l’unico standard. Ma c’è un piccolo problema… l’open source prevede la condivisione di dati e codici sorgenti.
Il nodo, pertanto, su cui sia Occidente sia Oriente dovranno misurarsi, è proprio su come equilibrare la capacità di decentramento di queste tecnologie con la capacità di controllo.