Si muovono in piccoli gruppi, hanno scelto il loro obiettivo con cura senza lasciare niente al caso. Sono ‘armati’ ma vengono in pace, sono gli ‘invasori’ che in questi giorni, fino al 3 maggio, partecipano alle Invasioni Digitali, visite ai musei, chiese, beni culturali talvolta poco conosciuti e un po’ fuori dai circuiti del turismo tradizionale. Brandiscono lo smartphone, vero strumento di promozione di massa, e documentano ciò che vedono. Il loro racconto diventa uno storytelling avvincente, seguibile con l’hashtag #invasionidigitali, che valorizza il nostro patrimonio artistico e culturale. La lista dei luoghi da invadere, fino a domenica prossima, è nel sito dell’associazione (www.invasionidigitali.it) . Abbiamo fatto qualche domanda a Elisa Bonacini, nell’associazione come ambassador Sicilia dal 2013, che racconta come è nata l’iniziativa, giunta alla terza edizione.
Le ‘invasioni’ sono nate nel 2013, come è cresciuto il progetto in questi anni?
“Le ‘invasioni’ sono nate in Italia. E’ un progetto su scala nazionale, nato dal basso e che non ha paragoni altrove. L’intuizione, avuta da Fabrizio Todisco che al momento è il presidente dell’Associazione Invasioni Digitali, è stata subito accolta da un ristretto gruppo di sostenitori, come Gianfranco Dall’Ara, presidente dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei, Marianna Marcucci, la vicepresidente dell’Associazione Invasioni Digitali, e anche da me. Tutti abbiamo contribuito alla stesura del ‘Manifesto’ delle ‘invasioni’, che hanno potuto svilupparsi in tutto il paese grazie a un network di partner. Il progetto è cresciuto tantissimo, soprattutto nella collaborazione con le istituzioni culturali. Con le prime due edizioni siamo stati in grado di coinvolgere oltre 25.000 persone su tutto il territorio nazionale”.
C’è un’invasione da ricordare più delle altre? Un luogo, un monumento, magari abbandonato e dimenticato che avete contribuito a far riscoprire e recuperare?
“Le invasioni in due anni sono state oltre 640! Ognuna ha avuto un suo ‘perché’: un luogo da valorizzare, un bene da comunicare o da far conoscere; alcune invasioni hanno avuto anche lo scopo di una denuncia delle condizioni in cui versava un monumento. Faccio un solo esempio: il Castrum Vetus di Lentini, un castello fortificato di epoca normanna che versava in pessime condizioni. Lì, Giorgio Lentini, ambassador della Sicilia, ha organizzato un’invasione il primo anno: da allora si fa manutenzione periodica e una associazione di volontari si occupa di renderlo fruibile al pubblico”.
Le ‘invasioni’ non sarebbero nate senza i social media. Credete che i social media possano ‘salvere’ i nostri beni culturali oppure è solo una moda del momento destinata a passare?
“I social media non possono ‘salvare’ ciò che noi non salvaguardiamo…purtroppo non hanno questa forza! Tuttavia possono contribuire a diffondere informazioni su circuiti culturali meno noti ma non per questo meno belli d’Italia. E chissà, alla lunga, potrebbero aiutare anche a diversificare i flussi turistici. Ad esempio la chiesa di San Lorenzo in Varigotti, in Liguria. La persona che se ne occupa, Michele Salvatore, ci ha più volte ringraziato perché la partecipazione ad Invasioni Digitali li ha aiutati a farsi conoscere e a portare visitatori”.