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Da Roma a Bruxelles: il progetto ‘nDonnamo’ che ridisegna la toponomastica premiato per impatto e innovazione

Percorsi interattivi, QR code e storie digitali per riscrivere la memoria urbana al femminile. ‘nDonnamo’ premiato a Bruxelles come progetto d’impatto.

Nel cuore di Roma, tra i quartieri della metro Marconi e Roma 70, prende forma un progetto che unisce memoria, spazio pubblico e parità di genere. Si chiama ‘nDonnamo – Vie libere alle donne’ ed è un’iniziativa di toponomastica alternativa che punta a restituire visibilità alle figure femminili troppo spesso assenti dalle nostre strade, piazze e percorsi urbani.

Il progetto, promosso dall’associazione Global Shapers – Rome Hub, nasce da un dato eloquente: solo il 4% delle strade italiane è intitolato a donne, contro il 40% dedicato a uomini. Una sproporzione che non riflette solo una lacuna simbolica, ma anche un’immagine incompleta della storia condivisa.

Dopo il primo percorso inaugurato in zona Marconi, il secondo capitolo del progetto è stato recentemente presentato a Roma 70, nel Municipio VIII, in occasione della scorsa Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Il nuovo itinerario si chiama “Donne nello Sport” e mira a valorizzare le atlete che hanno fatto la storia, rompendo uno schema toponomastico.

L’iniziativa si inserisce in un filone sempre più sentito a livello europeo. Lo dimostra il recente riconoscimento ricevuto il 17 maggio a Bruxelles, durante il retreat biennale della Global Shapers Community per l’area Europa e Eurasia: ‘nDonnamo’ è stato premiato come “Most Impactful Project”, a conferma dell’impatto che anche azioni locali, apparentemente piccole, possono avere nel trasformare il modo in cui viviamo e raccontiamo lo spazio urbano.

Il progetto non si limita a rinominare simbolicamente le strade: propone percorsi urbani interattivi, narrazioni condivise, QR code e contenuti digitali che rendono accessibili le storie delle donne protagoniste. È un modo concreto per riconnettere cittadine e cittadini a una memoria collettiva più inclusiva, direttamente nei luoghi che vivono quotidianamente.

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