Intervista a Sergio Bellucci sull’intelligenza artificiale
Sergio, in base alla tua esperienza lavorativa e personale nonché al tuo percorso all’interno di realtà anche politiche, secondo te, come pensi si dovrebbero affrontare le questioni etiche legate all’Intelligenza Artificiale?
La rivoluzione digitale ci pone una questione centrale: l’umanità, in questo momento, non possiede le strutture etiche necessarie a governare le scelte che le nuove tecnologie ci chiedono di compiere. Ad esempio: nel campo biologico, la ricerca scientifica sta mettendo a punto tecniche di intervento ad alta precisione sul codice genetico ma fin dove si può arrivare per rispettare la nostra esistenza di creature umane? E ancora, è ampiamente noto, ormai, che per alcune malattie sono a disposizione cure innovative che hanno costi talmente elevati che la stragrande maggioranza della popolazione umana non può permettersi. Vengono meno, così, quei principi di accesso e uguaglianza che possono mettere in crisi la tenuta sociale. E continuo ancora con esempi pratici per intenderci meglio: se dovessimo arrivare ad intervenire sul codice genetico e recuperare tre ore di sonno, ovvero ore in più per studiare, lavorare, accrescere il proprio patrimonio culturale destinando non a tutti questa opportunità, che impatto sociale avrebbe questa innovazione? Chi ha e avrà accesso alle nuove tecnologie e chi no; questo è l’elemento di discriminazione più forte. Siamo, dunque, alle soglie di cambiamenti epocali. L’era digitale sta accelerando enormemente la “capacità del fare” e la capacità del fare modifica le forme di relazioni, i corpi e le strutture sociali. Sono certo che nel giro di un decennio nuove condizioni etiche, e di relazioni umane legate a queste nuove possibilità di scelte, si genereranno. È fondamentale, dunque, chiedersi ora qual è l’etica in cui vogliamo convergere, tutti.
Si tenta di tirare per la giacchetta, forse dovrei dire per la veste talare, la Chiesa nel dibattito generale sull’AI per indicarne un uso etico e morale. Ma la Politica, in tutta questa storia, dov’è? Perché resta incapace di anticipare i cambiamenti sociali?
Partiamo da un dato: la Chiesa si occupa di fatti sociali quando messi in relazione con l’individuo e il senso della sua esistenza. Ha posto il tema con un termine nuovo, “algoretica”, ovvero qual è l’etica che si può estendere agli algoritmi. Noi abbiamo bisogno di un’etica complessiva dell’era digitale, perché qui non parliamo solo di calcoli ma di vite umane. Parliamo di condizioni materiali precise: avere un’apparecchiatura di calcolo x o di calcolo y modifica enormemente lo status sociale di un individuo o di una qualsiasi realtà. È notizia recentissima, ad esempio, che il nuovo super computer di Tesla ha fatto aumentare di 600 miliardi il valore dell’azienda. C’è un tema quindi centrale che non riguarda solo gli algoritmi ma la vita delle persone. La politica, quella che abbiamo conosciuto nell’era industriale, slitta intorno alla possibilità di intervenire perché non ha compreso le nuove forme di produzione del valore e quindi i nuovi rapporti di scambio che ci sono all’interno della società. In parole più povere, mi pare che la Politica continui a regolare la Società di oggi con le categorie e forme di pensiero che preesistevano all’era digitale, che invece, come abbiamo visto, va per conto suo. Questa cosa da dove deriva? È molto semplice, e non c’è da stupirsi: la politica vive di forme di rappresentanza e Istituzioni che esistevano prima della rivoluzione digitale. Di fatto, la rivoluzione digitale pone una questione nuova che la politica tende a disconoscere: stiamo parlando di una rottura epocale che chiede un’altra forma di potere. Siamo in presenza di realtà politiche che non sono, oggi, in grado di aggredire questo elemento. Un po’ come se nell’era industriale avessimo ragionato ancora come nell’era agricola. La rivoluzione digitale chiede, quindi, e a gran voce, nuovi modelli di rappresentanza e un impianto teorico completamente nuovo. Non siamo messi bene, la verità è questa.
Sergio un Paese come il nostro che lascia affamati ricercatori e ricercatrici con assegni ridicoli e che non investe sarà sempre suddito per quanto riguarda le nuove frontiere dell’AI o riuscirà prima o poi a guidare qualche processo, forte della sua millenaria storia umanistica che lo differenzia?
Partiamo da una constatazione: dal tempo dell’antico Egitto fino a “ieri”, l’Europa, con dentro l’Italia ovviamente, è stata il motore della grande trasformazione del pianeta o almeno della parte che consideriamo più avanzata in termini di conoscenza e innovazione. Stavolta la questione è più complessa. L’Europa non è il centro della trasformazione e il digitale ha due grandi player, Stati Uniti e Cina. L’Europa arranca perché non ha compreso la grande rivoluzione in corso, diventando subalterna nei grandi processi. Qualche giorno fa mi trovavo ospite di un evento e proprio in merito a questo argomento, politici, sindacalisti, imprenditori rispondevano alle diverse suggestioni con “ma noi siamo legati al vecchio modo, alle forme artigianali, a forme di relazioni che preesistevano”, mi pare sia una forma evidente di negazione della realtà. L’Italia, da questo punto di vista, è un Paese molto conservatore anche se allo stesso tempo, proprio per la sua storia, ha una base culturale forte di percezione del bello, della qualità, del gusto e della vita che andrebbe sfruttata. Abbiamo bisogno di non indugiare nell’acquisire nuovi modelli del fare e nuovi modelli di produzione e non di replicare soluzione americane. Serve un grande “lavaggio” generale e che la Politica ci sappia indicare nuove strade: ma è qui il dramma. La politica è ancora indietro, pensa ancora alla rappresentanza in termini di mantenimento di se stessa e alla difesa della capacità di acquisto del singolo individuo. Dentro questo orizzonte, onestamente, non vedo grandi possibilità.
Ci sono indagini, già diffuse, sul taglio dell’intelligenza biologica che implicherebbe ovviamente la perdita di posti di lavoro ma anche indagini che mettono in risalto le nuove opportunità dell’AI, tu quale scenario possibile intravedi?
La tecnologia è l’elemento scatenante che sta rompendo gli equilibri economici e sociali all’interno del vecchio mondo industriale; un mondo che sta crollando con tutte le sue figure sociali e di distribuzione della ricchezza. Ma la tecnologia è anche la struttura alla quale possiamo e dobbiamo attaccarci per riorganizzare un nuovo tessuto sociale ed esaltare l’attività umana. In termini politici potremmo citare Rosa Luxemburg quando diceva, circa un secolo fa, o scegliamo un altro modello di vita o la barbarie. Siamo ad un bivio: o andiamo verso una nuova cooperazione, attraverso nuovi modelli di relazione, di vita e lavoro che la tecnologia rende possibile e praticabile oppure rischiamo una spirale distruttiva che può addirittura, senza essere distopici, paventare il crollo della civiltà umana. Qui il rischio non è una crisi come le abbiamo conosciute oggi ma il crollo dei sistemi sociali.
Sergio nel 2021 è uscito il tuo saggio “AI-Work. La digitalizzazione del lavoro” e già nel 2005 avevi anticipato i tempi scrivendo “E-work. Lavoro, rete e innovazione”, quindi ti chiedo a cosa stai lavorando adesso?
Sto scrivendo un libro sulla transizione, non sulla crisi che è un momento di passaggio ma sulla transizione che in termini politici è una grande rivoluzione perché pone il tema di qual è la classe al comando e quale la forma di potere che quella classe vuole instaurare all’interno della società.
3 risposte
Concordo pienamente con Sergio su quanto ha scritto. Ma il futuro corre più veloce della tastiera. Ci sono programmi che possono completamente cambiare gli scenari in una prospettiva post umana! E non sto parlando di contatti con altre civiltà fuori dalla Terra Lèggiamo notizie sulla creazione di embrioni sintetici che possono creare una nuova specie umana o post-umana in quanto non bisognosa per la sua nascita di sperma e ovuli, quindi? Quindi probabili nuovi schiavi salariati o nuovi soldati, post umani o non-umani! Oppure programmi come Neuralink di Elon Musk che potenzierebbero le nostre capacità diventando però dei Cyborg alka BladeRunner. Ma se un sistema democratico avesse il controllo di questi processi, cosa succederebbe se tali processi bio-tecno-economici interconnessi, gestiti da dittature? Più che transizione stiamo assistendo ad una rottura nei processi di compatibilità ambientale con quanto conosciamo. Proprio nel momento in cui si immaginano viaggi per colonizzare altri pianeti sfruttando risorse all’infinito, sapendo che in realtà sono missioni ad altissimo rischio per il nostro sistema biofisico. Intanto lèggiamo che il nostro pianeta ha superato ben 6 limiti di abitabilità su 9. Che fare ? Biodegnzre immaginare una transizione attraverso la conoscenza abbattendo i segreti industriali consentendo a tutti di accedere alle fonti cosa sperata e auspicabile, come immaginava Rodota. I tempi ed il pianeta non aspettano. Quindi grazie Sergio per lo sforzo profuso per rendere e trasformare la conoscenza in consapevolezza.
Caro sergio! Molto interessanti, come sempre le tue analisi.
Mi sembra che un punto fondamentale sia comprendere perché la politica non mostra consapevolezza su ciò che sta avvenendo, e cosa si può fare a riguardo.
Può incidere il crollo del livello culturale ? Il crollo dell etica? Il crollo del valore dell interesse collettivo?Il privilegiare l interesse personale, a breve, l attenzione concentrata sull adesso, poi si vedrà come restare comunque a galla? Che, tra l altro, è anche un paradosso, in quanto sara sempre piu difficile restarci, non adeguandosi alla trasformazione .
E perché questi aspetti sono piu accentuati in europa?in italia ?
Cosa imparare dai contesti dove si sta godendo dei risultati dell innovazione ?
Come studiare le nuove forme di rappresentanza? Cosi fondamentale!
E noi cittadini, coa poter fare ?
Mi viene in mente “il gioco delle perle di vetro”, di herman esse, siamo ancora in epoca buia, ma è proprio da qui che dobbiamo partire.
Scusami, capisco che sono domande banali, ma navigo nel buio nelle risposte !